"Ardea" e l'ipotesi del "volo borghese"


La rivista aeronautica “Ardea” fu stampata a Napoli per un breve periodo fra il 1918 ed il ‘19, cioè nel cruciale periodo a cavallo della fine della Prima guerra mondiale. Fin da subito, ovvero ad ostilità ancora in corso, si interessò dei possibili impieghi civili dell'aeroplano: nel settembre 1918 pubblica un articolo dal titolo “Esperienze, rilievi e proposte” in cui si valutano, con un certo ottimismo, i vari campi d'applicazione.


“Oscillazioni, rumore, freddo, posizioni che producono crampi, sono tutti inconvenienti dipendenti dallo scopo di guerra cui l'apparecchio è destinato, e che possono essere ridotti senza molto sacrificare la rapidità”.
E più avanti osserva:
“Nessun luogo della terra disterebbe da un altro più di cinque giorni di viaggio”.
Non dimentica tuttavia le implicazioni legali del trasporto aereo del futuro:
“Le possibilità che si schiudono sembrano senza fine, ma sorgono talune questioni interessanti e di difficile soluzione. La più importante e che qui può solo essere menzionata è se l'aria sarà libera per tutti, ossia se le singole nazioni avranno diritto di fare e di applicare regolamenti per quella parte di essa che trovasi immediatamente sopra i loro territori”.
Nel ‘19, ed in particolare nel numero di febbraio, pubblicò alcuni interessanti articoli su un tema cruciale in quei giorni, ovvero le prospettive di impiego civile dell’aeroplano, con titoli come: “Mentre parte un gigantesco Caproni”, “Perché l'Italia deve fare una politica aeronautica”, “L'aviazione nel dopo guerra”, “Il problema delle comunicazioni in Italia”, “L'aviazione civile in Inghilterra”, “Piccio, Fonk e l'avvenire della navigazione aerea”.

La guerra aveva visto un impiego crescente dello strumento aereo, in misura difficilmente immaginabile pochi anni prima. La propaganda aveva ulteriormente enfatizzato le imprese delle macchine e dei piloti e, per conseguenza, accresceva ora le attese, anche al di la di quanto fosse effettivamente possibile realizzare con la tecnologia disponibile. C'era poi la spinta delle aziende, cresciute a dismisura con le commesse belliche, per far nascere un mercato civile nel minor tempo possibile e non dover subire ridimensionamenti.

Non pochi infatti dipingevano scenari in cui l’aeroplano avrebbe potuto invadere i cieli con ruoli civili e militari. Nel suo intervento, Renè Fonk lo vede come l’arma del futuro per eccellenza, capace di distruggere città e ridurre alla resa le nazioni, sulla scia di quando già aveva teorizzato Giulio Douhet. Ci sono le descrizioni - tra l’ammirato ed il preoccupato - di quanto si sta facendo in Francia ed in Gran Bretagna. C'è in molti l'illusione di poter facilmente trasformare le macchine da guerra in strumenti civili, e viceversa:
“E' mestieri procedere alla utilizzazione del materiale militare che resterà disponibile con la smobilitazione. Ormai non è più un segreto per alcuno che il nostro esercito è dotato di apparecchi aerei potentissimi, tipo Caproni, i quali hanno una rilevante portata ed un raggio di azione considerevole”.

Sono giorni di speranze ed illusioni. Mentre Caproni prova effettivamente a convertire i suoi trimotori da bombardamento in improbabili trasporti civili ed è alacremente al lavoro sul suo incredibile noviplano, a Napoli i fratelli Ettore ed Umberto Ricci sono alle prese con un progetto altrettanto ambizioso, che non vedrà mai la luce. Le prospettive sono tuttavia incerte: ci sono ancora molti dubbi sulla formula ideale per l'aeroplano da trasporto e le soluzioni tecniche sono ancora approssimative. Nell'articolo “L'aviazione nel dopo guerra”, firmato “Aldo Soleri, ingegnere aeronautico”, si legge ad esempio:
“Relativamente al tipo di apparecchio che avrà la preferenza sugli altri, noteremo che il bimotore ha sempre dato una forte percentuale di incidenti e di discese forzate, di fronte agli altri tipi”.
Ed anche:
“In quanto al numero di piani alari, va escluso senz'altro, il monoplano. […] La scelta quindi dovrà cadere sul biplano o sul triplano, a seconda del carico utile che ci si impone”.
Più equilibrato appare il punto di vista del colonnello Pier Ruggero Piccio, che prospetta la necessità di un lungo lavoro prima di poter disporre di validi trasporti aerei. Infatti evidenzia, contro opinioni diffuse ed alimentate dagli industriali, che non è immediato trasformare i bombardieri della Grande Guerra, come ad esempio i trimotori Caproni, in macchine da trasporto per passeggeri e merci:
“Gli apparecchi che esistono ora non sono, a mio parere, l'ideale per iniziare esperimenti d'aviazione borghese, ma vi sono alcuni tipi che possono prestarsi a serii esperimenti”.


Cosa forse ancora più importante, comprende che le strutture a terra e di supporto sono fondamentali per consentire rotte regolari e sicure. Nelle sue parole c’è quella che mi sembra la migliore prefigurazione di una “aerovia” che fosse possibile immaginare in quegli anni:
“Bisognerà fare delle vere rotaie che costeranno meno di quelle ferroviarie e che dovranno essere munite di tutti gli organi di segnalazione capaci di agevolare la rotta dei velivoli, come fari luminosi o palloncini da innalzare al di sopra della nebbia, ecc. Quando sarà ben delimitata questa striscia di terreno in modo che sia sentita dal pilota anche quando la visibilità non è perfetta, si potrà volare anche nei giorni che ora sono proibitivi”.

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