Il futuro dell'aeronautica nella Grande Guerra

Ricognitore italiano in decollo
Quando si parla di aeronautica della Prima guerra mondiale, è ancora diffusa l'immagine dei trabiccoli in legno e tela appesi ad un motore scoppiettante ed appena in grado di stare in aria. C'è poi il mito del Barone Rosso, degli assi e dei “cavalieri alati”. In realtà, il pregiudizio è almeno in parte falso. In primo luogo perché i mezzi aerei venivano già da diverse prove d'impiego e da almeno una esperienza sul campo: quella degli italiani in Libia contro le forze turche nel 1911. Ma soprattutto perché la lunga e sanguinosa guerra fece evolvere in fretta mezzi e tecniche d'impiego.

Schema di trasmettitore telegrafico francese per uso aeronautico

Già nel 1915 i ricognitori addetti ad “aggiustare” il tiro dell'artiglieria furono dotati di emittenti radio telegrafiche a bordo. Infatti i vari tentativi di comunicazione con le forze di terra tramite messaggi lanciati, fumogeni o evoluzioni codificate erano falliti o si erano rivelati scarsamente affidabili e l'emittente a bordo risultò l'unica soluzione valida, per quanto complessa, per inviare informazioni alle batterie addette al tiro in maniera rapida e precisa. Montare le trasmittenti ed addestrare gli osservatori fu solo il primo passo: fu necessario installare una rete di stazioni di ricevimento e di linee telefoniche che le collegassero tra loro e con i reparti d'artiglieria attivi al fronte.

In risposta, nacque l'embrione della guerra elettronica, sotto forma di tentativi di interferire con il segnale trasmesso dagli aerei nemici, ad opera delle stazioni di terra che, se identificavano un segnale telegrafico nemico, provavano a disturbarlo emettendo ad alta intensità sulla stessa frequenza.

I dirigibili Zeppelin tedeschi, così come i Crocco ed i Forlanini italiani, nelle versioni più evolute erano in grado di salire fino a 6000 metri, dopo essersi alleggeriti del carico di bombe, per sparire nella notte sfuggendo alla reazione della caccia e della contraerea nemiche. I voli notturni erano infatti una pratica ordinaria, nelle notti di luna per i bombardieri plurimotori come i Caproni italiani, in quelle senza luna per i dirigibili, più lenti ma capaci di trasportate un carico offensivo maggiore.

Il primo collimatore ottico a riflessione, in sostituzione del mirino a visuale libera, fu realizzato in Germania nel 1918 e testato su caccia del tipo Albatros D.Va e Fokker Dr.1, due tipi di macchine impiegati, tra gli altri, dal Barone Rosso. E' in pratica l'antenato degli attuale HUD, visori dati "a testa alta" presenti su tutti i jet da combattimento.

I caccia Albatros erano realizzati con struttura “a semiguscio” in legno, in cui il rivestimento collaborava alla rigidezza della struttura. I tedeschi furono anche i primi ad impiegare profili alari spessi, ad esempio sul Fokker D.VII, verso la fine del conflitto. Si tratta di fondamentali progressi strutturali ed aerodinamici che avrebbe dato tutti i suoi frutti con le costruzioni in metallo e con l'ala monoplana a sbalzo, molti anni dopo.

Alcuni profili alari impiegati nella Prima guerra mondiale


Negli ultimi mesi di guerra i piloti alleati cominciarono a fare uso di bombole d'ossigeno, per sopperire ai problemi del volo ad alta quota, come risulta da un documento statunitense. I leggeri caccia del tempo operavano infatti fino a quote di 6000 metri ed oltre, dove gli effetti dell'altitudine sull'organismo umano diventano importanti, soprattutto nelle condizioni di stress prolungato quali sono le missioni di guerra.

Nei piani di evoluzione della caccia italiana per il 1919 erano citate innovazioni quali dispositivi di puntamento con correzione d'errore, corazzatura, protezione antincendio dei serbatoi, serbatoi supplementari sganciabili. Queste innovazioni, suggerite dalle esperienze della guerra, furono purtroppo dimenticata e, oltre vent'anni dopo, all'inizio di un nuovo conflitto mondiale, i caccia della Regia Aeronautica dovettero essere frettolosamente dotati di protezioni per il pilota, non inizialmente previste a progetto.

SPAD S.VII al Mueo di Vigna di Valle, con i colori di Fulco Ruffo di Calabria, il quinto asso dell'aviazione italiana nella Grande Guerra
Finora si è parlato dei mezzi. Ancora più evidente del livello di sviluppo raggiunto è la formalizzazione delle tattiche d'impiego, a dimostrazione che la necessità pratica guida l'evoluzione meglio delle impostazioni teoriche. Il discorso di come i fondamenti pratici e teorici della guerra aerea siano nati nella "Grande guerra europea" non è tuttavia nuovo e molto si è parlato e scritto a riguardo.

Le azioni “di massa” che coinvolgevano molti reparti e grosse formazioni in azioni coordinate divennero la norma sul fronte occidentale e, di riflesso, su quello italiano.

Ebbe inizio anche la pratica della guerra psicologica. In riferimento all'aeronautica italiana, il “Volo su Vienna” fu senza dubbio l'esempio più eclatante, ma continui erano i lanci di volantini e materiale propagandistico sulle zone al di la del Piave, occupate dagli austro-ungarici: erano spesso lo scopo prioritario delle azioni di “bombardamento” aereo.

Nel luglio 1918 fu inoltre istituita, nell'ambito dei servizi aeronautici del Regio Esercito, la “Sezione servizi speciali”, con il compito di portare agenti infiltrati al di la delle linee nemiche, rifornirli, raccogliere informazioni e consentirgli la fuga quando necessario. Altro impiego più che moderno del mezzo aereo.

Le elaborazioni di Giulio Douhet sul "potere aereo" hanno influenzato a lungo lo sviluppo dell'aeronautica, ma a livello più pratico, le istruzioni per la caccia che Manfred Von Richtofen, il “Barone Rosso”, raccolse nel “Manuale operativo di combattimento aereo”, evidenziano innanzitutto l'importanza di “briefing” e “debriefing”

Prima di ogni decollo, senza eccezione, bisogna discutere lo scopo della missione. La discussione prima del decollo è importante almeno quanto quella dopo la missione.

Spiegano poi come la tattica, la disciplina e l'impostazione del combattimento siano assai più importanti della capacità di compiere acrobazie:

Se la missione non ha successo, in 99 casi la colpa è da imputare all'aeroplano che la guida.

[…] Quando viene avvistata una formazione nemica, l'aeroplano al comando deve aumentare la velocità. Questo momento deve essere avvertito immediatamente da tutti i piloti dello stormo, solo così uno stormo numeroso non si disgrega.

[…] Non attribuisco molto valore alla perizia nel volo in se stessa. Ho abbattuto i miei primi 20 [avversari] quando ancora avevo molte difficoltà a volare. Non è importante essere un campione acrobatico. Preferisco chi sa volare effettuando solo virate a sinistra, ma si lancia all'inseguimento del nemico, allo specialista delle picchiate e delle giravolte proveniente dal [centro di addestramento di] Johannisthal, che però attacca con troppa cautela.

Sopra il campo d'aviazione è proibito: fare looping, figure acrobatiche e giravolte a bassa quota.

Non abbiamo bisogno di acrobati aerei, [ci servono] invece uomini audaci.


In Italia il testo di riferimento è la “Istruzione provvisoria d'impiego delle squadriglie da caccia”, redatta da Pier Ruggiero Piccio nel 1918. Il confronto con il manuale tedesco evidenzia come sul fronte italiano gli scontri riguardassero formazioni molto più piccole rispetto a quanto avveniva sul fronte occidentale, tuttavia il testo di Piccio identifica con precisione i ruoli della caccia, con una organizzazione che è valida tutt'oggi. Si vede fin dalle premesse:
L'aviazione da Caccia ha tre compiti essenziali:

1° Permettere che i nostri aeroplani da ricognizione, da artiglieria, da bombardamento possano esplicare il loro mandato.

2° Impedire che il nemico possa fare altrettanto.

3° Partecipare ai combattimenti terrestri.

Ritorna poi il tema della disciplina di volo:

Nella pattuglia gli apparecchi terranno la formazione a triangolo: il capopattuglia in testa. Gli altri rispettivamente a destra e a sinistra indietro e sopra il capopattuglia.

[…] La formazione deve essere nei limiti del possibile mantenuta anche durante il combattimento, deve in ogni caso essere ripresa subito dopo.

[…] Ricordare che non bisogna mai abbandonare la formazione per attaccare da solo.
Schema della formazione, illustrato da Piccio




Fonti

"US Air Service weekly news letter", October 12, 1918

B. Di Martino, “L'Aviazione Italiana nella Grande Guerra”, Ed. Mursia, 2011

P. Varriale, “Caccia, istruzioni per l'uso”, in “I Quaderni della Rivista Aeronautica” n. 2/2007

P. Klduff, “Il Barone Rosso – la vita e le opere di Manfred Von Richtifen”, Mondadori, 2003

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