Aerfer-Macchi: assieme per un multiruolo… africano

Aermacchi-Aerfer AM-3 "Bosbok" con i colori della SAAS
L'IMAM Ro.63 era un ottimo aereo da collegamento a decollo ed atterraggio corti, che, pur avendo vinto una concorso della Regia Aeronautica alla fine degli anni '30, era stato ingiustamente penalizzato in favore dei Fieseler Storch acquistati dalla Germania. Dopo la Seconda guerra mondiale fu proposto di metterlo in produzione, per le esigenze della rifondata Aeronautica Militare, ma non fu possibile ritrovare i progetti.

La cosa non deve stupire più di tanto, ne tantomeno far sorridere: Napoli aveva subito tali e tante devastazioni, agli apparati produttivi e non solo, che ben poco ne rimaneva nel '45, infatti bombardamenti anglo-americani prima e le mine tedesche poi avevano quasi raso al suolo la città. Era inevitabile che, assieme alle vite umane ed ai beni, anche tanta documentazione perisse in tutta quella rovina.


Il primo contratto della neonata Aeronautica Militare fu allora per un altro progetto meridionale: alcuni esemplari dell'addestratore IMAM Ro.41, che tuttavia furono realizzati dalla Agusta.

Il compito di collegamento per le forze armate fu allora assegnato ad alcuni Cessna L.19 "Bird Dog" di produzione statunitense, un tipo che sarà poi impiegato dagli americani anche in Corea. Alla metà degli anni '60 si decise tuttavia di bandire un concorso per sostituirli con mezzi di progettazione nazionale.

La IMAM era intanto diventata Aerfer ed aveva affiancato allo stabilimento di Capodichino uno a Pomigliano d'Arco, vicino a quello dei motori dell'Alfa Romeo ed attivo fin dal 1940. Aveva lavorato per gli F.84 "Thunderjet" per le esigenze della NATO, aveva sviluppato i prototipi di caccia leggeri "Sagittario II", "Ariete" e "Leone" che purtroppo non raggiunsero la produzione, era coinvolta nella fabbricazione degli F.104, G.91 e G.222 e dell'impennaggio verticale del DC.10. L'Aerfer lavorava inoltre nel settore spaziale, e, completando un ventaglio di attività molto ampio, produceva autobus e vetture ferroviarie. Partecipò alla nuova gara dell'Aeronautica Militare assieme all'Aermacchi.

Prototipo dell'Aermacchi-Aerfer AM-3 al Salone di Parigi del 1967 (foto da Wikipedia)
La ditta di Varese, non senza difficoltà, aveva ripreso nel dopoguerra la produzione dell'Mc.205 "Veltro", uno dei migliori caccia italiani del tempo di guerra, sfruttando anche parti e velivoli ricondizionati, per l'Aeronautica e per l'esportazione; in più era impegnata nel settore degli aerei leggeri ed era entrata nel mercato degli addestratori, con l'M.416 e soprattutto l'MB.326, forse il suo maggiore successo commerciale.

Il risultato della collaborazione fu l'AM.3, un robusto biposto in tandem ad ala alta e con carrello a ruotino di coda. La fusoliera era a struttura mista, in tubolari d'acciaio e rivestimento in alluminio, plastica e fibra di vetro. L'ala era derivata da quella del precedente Aermacchi AL-60, aveva un solo montante, era interamente metallica ed irrobustita per trasportare carichi sospesi su quattro punti di forza, di cui quelli interni erano capaci di trasportare fino a 170 Kg, e quelli esterni fino a 91 Kg. Ampi flap azionati elettricamente contribuivano alle caratteristiche di decollo ed atterraggio corto. L'ala poteva essere facilmente smontata dalla fusoliera. La cabina, ampiamente vetrata, aveva due posti in tandem, con doppi comandi; alle spalle c'era uno spazio sfruttabile per un passeggero, un piccolo carico o una barella. Struttura e carrello erano sovradimensionati per consentire l'impiego in condizioni gravose ed assorbire senza problemi atterraggi pesanti e altri "maltrattamenti". Il ruotino di coda poteva essere bloccato per migliorare la stabilità a terra.

Il motore, a partire dal secondo prototipo, era un Piaggio-Lycoming a 6 cilindri orizzontali contrapposti, da 345 CV, dando quindi all'aereo la potenza necessaria per operare anche in condizioni difficili. Il primo prototipo fu realizzato dalla Macchi e volò il 12 maggio 1967; fu poi esposto al salone aeronautico di Parigi nel giugno di quell'anno. Il secondo, costruito dalla Aerfer fece il primo volo il 22 agosto 1968.

AM-3 in volo
Nonostante le buone qualità dimostrate, l'Aeronautica preferì il SIAI Marchetti SM-1019, un derivato del Bird Dog con motore più potente. L'unico sbocco produttivo del AM-3 furono allora due contratti per esportazione: uno da 40 esemplari per la Repubblica Sudafricana ed un secondo da 3 per il Ruanda. L'Aerfer era intanto diventata Aeritalia, essendosi fusa con le attività aeronautiche della Fiat.

L'ordine del Sudafrica fu firmato nel 1970 e le consegne si protrassero dal '73 al '75, andando ad equipaggiare due squadroni della SAAF. L'aereo fu denominato localmente "Bosbok" (una razza di piccole antilopi) e fu ampiamente impiegato dal '75 all'89 nell'interminabile guerra d'Angola, una sanguinosa espressione della Guerra Fredda in cui, nel teatro di una guerra civile, erano coinvolte anche forze cubane da un lato e contingenti statunitensi dall'altro. Svolse una quantità di ruoli: controllo aereo avanzato, identificazione bersagli tramite razzi fumogeni, ricognizione, aggiustamento del tiro dell'artiglieria, evacuazione feriti, collegamento, appoggio. Si rivelò un cavallo da tiro affidabile anche in missioni pericolose, come erano quelle a bassissima quota per identificare bersagli con razzi fumogeni. Fu ampiamente impiegato in missioni armate diurne e notturne.

Nel 1992 gli AM-3 sudafricani furono ritirati dal servizio e diversi esemplari sono poi passati al mercato civile; alcuni sono ancora operativi ed apprezzati per la robustezza.

AM-3 civile

Fonti


Scheda tecnica

"Flight" sul Salone di Parigi del 1967. In quest'altro articolo c'è anche una foto di un modello del Concorde, ancora molto diverso dalla versione definitiva.

Wikipedia. L'articolo in italiano è carente rispetto alla versione inglese.

E. Sorrentino, "Aviazione Generale Civile e Militare in Campania", Cuzzola Editore, 1987.

"Aviazione - Grande enciclopedia illustrata", De Agostini, 1982

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